Nandipha Ncamiso

Nandipha Ncamiso

 

"Ho 19 anni. Crescendo, sognavo di diventare una assistente sociale. Tutti i giorni vedevamo molti bambini nella strada, abbandonati, e mio padre mi spiegava che erano orfani oppure avevano dovuto scappare da casa per i litigi in famiglia, o perché vittime di episodi di bullismo da parte di amici o solo perché “ribelli”. Quando iniziai la scuola pensavo “Non lascerò mai la scuola, voglio finirla e diventare assistente sociale”. Superai gli esami e dovevo passare alla seconda superiore, ma rimasi incinta e i miei si arrabbiarono molto. Rifiutai di lasciare la scuola e di abortire. Si arrabbiarono ancora di più e la mia matrigna continuò a trattarmi così male come se io non esistessi. Sua figlia (la mia sorellastra) tentò di buttarmi fuori di casa, ma io resistetti fino alla nascita di mio figlio. Si chiama Zukhanye. Un giorno Zukhanye si ammalò: stavo lavando i suoi vestitini e una vicina mi dice che non respirava. Chiamano un’ambulanza che non arriva. Telefoniamo ai pompieri che non arrivano. Fermiamo qualcuno per strada e chiediamo aiuto. Portano il bambino all’ospedale (pubblico), ma lì viene rifiutato perché troppo malato (!), così andiamo all'ospedale della Croce Rossa; fanno tutto quello che possono, all'inizio il bambino migliora, ma poi non respira di nuovo e muore. Lo abbiamo sepolto qui a Cape Town. La mia matrigna ora è tranquilla e mi tratta bene (sto così male per il dolore). Dice che il DIAVOLO è morto e lei si sente in pace (!). Vorrei andare a trovare il mio bambino, ma non me lo permettono, perché dicono che non saprei cosa fare al cimitero. Non so davvero cosa farei, però vorrei andarci ugualmente. Non voglio restare di nuovo incinta e voglio concentrarmi sulla scuola. Penso di aver bisogno di nuove esperienze per avere qualche possibilità nella vita"

Date

08 Ottobre 2019

Tags

#donneafricane